Famiglia

Un po’ d’educazione, Mister

Lo sport dei piccoli assomiglia sempre di più a quello dei grandi. Senza regole e valori. Il Csi lancia un appello a società sportive e Coni.

di Pasquale Coccia

L? allenatore della squadra di calcio non fa giocare il ragazzino e il padre denuncia la società sportiva. È accaduto a San Vito Chietino, in provincia di Chieti, dove un allenatore ha tenuto in panchina, oltre il necessario, il piccolo portiere di riserva suscitando le ire del papà. Caso limite? Mica tanto, la cronaca è ricca di episodi del genere: zuffe tra genitori sulle tribune, bambini in campo incitati a mettere la palla in rete senza esclusione di colpi, umiliati e offesi dalla panchina se sbagliano un dribbling. Insomma, quella dell?allenatore è una figura che acquista sempre più importanza sul piano psicologico e pedagogico, anche nelle piccole società sportive che partecipano ai tornei amatoriali. Negli ultimi anni, migliaia di bambini e adolescenti si sono avvicinati alla pratica sportiva intesa non solo come occasione di gioco, ma anche di crescita e veicolo di rapporti sociali e affettivi. In questo contesto il ruolo dell?allenatore assume valenze un tempo non richieste. Il ?coach?, come lo definiscono gli inglesi, diventa a tutti gli effetti il cocchiere, colui che guida, l?adulto di riferimento, che non si limita a dare solo indicazioni sul piano tecnico, ma detta anche le regole che riguardano il comportamento, il rispetto dell?avversario, la correttezza. E l?accettazione della sconfitta. Ma è davvero così? I fatti smentiscono tutte le buone intenzioni. In questo contesto fare l?allenatore diventa sempre più difficile, perché il progetto pedagogico contrasta con la logica dell?agonismo esasperato e della vittoria a tutti i costi. Un modo di fare, che ha messo radici anche nello sport amatoriale, sempre più teso a imitare i comportamenti e i gesti dei campioni professionisti. «Durante le partite di campionato, vedo spesso i miei colleghi allenatori che minacciano i ragazzi di metterli fuori squadra perché sbagliano il passaggio o incoraggiano i giocatori a commettere falli pur di non perdere la palla», afferma Bruno Mantovani, stimato allenatore di una squadra di pallacanestro che partecipa al campionato juniores. «È un atteggiamento deleterio che umilia i ragazzi e il risultato è l?abbandono precoce dell?attività sportiva. Eppure, non di rado riceve consenso da parte dei genitori, che non disdegnano il ruolo forte dell?allenatore, uno con il pugno di ferro. Oggi la società sportiva, soprattutto nei grandi centri urbani è un surrogato della famiglia», conclude l?allenatore di basket. Sapersi relazionare con il gruppo diventa importante per il trainer impegnato alla guida di una squadra. In Italia, però, non esistono scuole di formazione che provvedano anche all?aspetto psicopedagogico. Gli Istituti superiori di educazione fisica, recentemente trasformati in facoltà di Scienze motorie, prevedono nel piano di studi una sessione riservata a questo settore, ma i corsi di specializzazione sono ancora sulla carta. Chi da anni promuove lo sport sul territorio come il Centro sportivo italiano (Csi) ha provveduto a istituire una propria Scuola nazionale per educatori sportivi, riconosciuta anche dal ministero della Pubblica istruzione, operativa ormai da quasi sette anni. «L?aspetto educativo di un allenatore non si improvvisa», afferma Donato Mosella, presidente nazionale del Csi. «Siamo impegnati nelle grandi periferie urbane a contatto con ragazzi extracomunitari e di fasce sociali emarginate, e non possiamo lasciare l?attività sportiva nelle mani di apprendisti stregoni, perciò provvediamo alla formazione degli allenatori. Chiunque può dirigere una squadra, se ha conoscenze tecniche e pedagogiche, ma queste capacità devono essere verificate sul campo. Nel nostro Paese il Coni dovrebbe esercitare un?azione di verifica e controllo sull?operato degli allenatori. Purtroppo non lo fa», conclude Mosella. «Un aspetto importante dell?allenatore è la capacità di ascolto», aggiunge Guido Seno, responsabile tecnico del settore giovanile del Milan. «Molti allenatori sono bravi e competenti, ma non hanno la capacità di ascolto verso i giovani e spesso impongono le loro idee. La loro rigidità non consente di adeguarsi alle esigenze del gruppo, perchè non hanno capacità di dialogo. Si fanno prendere dalla frenesia dei risultati a ogni costo. Ma la performance e il risultato tecnico deve passare in secondo ordine, quello che conta è la crescita dei giovani».


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